Recensione di Elisabetta Bolondi
Autore: Cunningham Michael
Titolo: Una casa alla fine del mondo
Editore: Bompiani
Splendido come tutti i romanzi di questo autore ancora poco conosciuto malgrado i grandi riconoscimenti e i premi vinti. Storia di Bobby e Jonathan, due ragazzini che vivono nella sonnacchiosa Cleveland, Ohio, dove fumano spinelli e si scoprono tendenze omosessuali; Jonathan andrà al college e di lì a New-York, mentre Bobby, rimasto orfano, andrà a vivere da Alice e Ned, i genitori di Jonathan e ne diverrà il nuovo figlio; poi, al loro trasferimento in Arizona, Bobby raggiungerà Jonathan che a New-York vive con Clare, più vecchia di lui con cui ha stabilito un eccentrico rapporto di coppia. I tre cominciano una vita insieme, fin quando Bobby e Clare si uniranno e avranno una figlia, Rebecca, con la quale i tre protagonisti, trasferitisi in campagna nei pressi di Woodstock, cercheranno di costruire una bizzarra famiglia formata da due padri e una madre; l’esperimento metterà in luce le difficoltà psicologiche che i tre non hanno superato, l’omosessualità di Jonathan ma anche l’impossibilità di vivere a pieno l’amore; l’irresolutezza di Bobby capace solo di cose pratiche ma inadatto a progettare una vita affettiva si sovrappone alla personalità di Clare che, pur amando i due uomini ,finisce per sfuggire a quella pseudofamiglia per dare una maggiore libertà alla figlia, che non vuole più dividere con i due amati compagni. Libro bellissimo, in cui si coglie il tentativo di distruggere gli stereotipi della middle class americana senza riuscire a trovare una alternativa valida ad essi che non comporti spaesamento, sofferenza e dolore. Densa e molto particolare la scrittura che prelude già alla prova più matura, il romanzo Le ore.

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